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Channel: News – Shellrent – Web Hosting e Registrazione Domini

6 passi per rendere il vostro WordPress mobile-friendly

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Il mondo è mobile. Nel 2015 si poteva ancora affermare che la direzione era quella, ma a due anni di distanza possiamo dire con certezza che il nostro “cellulare” sia praticamente diventato la nostra estensione.

Per questo, quando si realizza un sito, è fondamentale non trascurare l’elemento responsive, ovvero far sì che si adatti graficamente, in modo automatico, ad ogni dispositivo su cui viene visualizzato.

Google addirittura favorisce in termini di ranking i siti mobile -friendly, ma senza andare a disturbare il colosso, provate a pensare quando da canali diversi, come i social, accedete e leggete articoli condivisi.
Se la lettura è difficile il tasso di abbandono è alto e voi perdete visite (e magari ne fate guadagnare ad un vostro competitor).

Vediamo quindi quali sono i passi da seguire per rendere il vostro sito in WordPress mobile -friendly.

 

1. Scegliete il piano hosting giusto

Tutto inizia da qui, scegliere il servizio Web hosting WordPress giusto.
Tutte le modifiche che farete sul vostro sito saranno inutili se vi appoggiate ad un servizio lento e inaffidabile.
Ricordatevi che la scelta più economica nel tempo non paga. Prendetevi il vostro tempo e scegliete il piano hosting giusto tenendo sempre conto del binomio qualità/prezzo.

Se volete, potete iniziare la vostra ricerca cliccando qui.


2. Scegliete un tema WordPress
mobile-friendly

Il tema che sceglierete serve sia come base che come framework per il vostro sito.
Che caratteristiche deve avere il tema ideale? Essere veloce. La velocità è un fattore chiave per rendere un sito responsive, quindi un tema veloce e rapido di risposta è l’ideale.

Nella vostra ricerca vi consigliamo di valutare temi contrassegnati come “responsive layout”.


3. Personalizzate i contenuti

Strutturare i vostri contenuti perché siano mobile è fondamentale. Non basta la veste grafica, ciò che scrivete deve rispettare il “formato mobile”:
Quando si tratta di contenuti, cosa definisce il mobile-friendliness?

In generale i contenuti dovrebbero essere facilmente visualizzati su piccole schermate e dovrebbero essere finger-friendly – facili da navigare al tocco.

Ecco alcuni suggerimenti specifici per rendere i contenuti compatibili con i dispositivi mobili:

  • scegliete font dalle dimensioni più grandi, sono migliori rispetto quelle più piccole;
  • i pulsanti (call action) dovrebbero essere abbastanza grandi e isolati per poterli toccare facilmente con la punta delle dita, senza accidentalmente cliccare qualcos’altro;
  • non ammassateli, lasciate che ci sia un bel po’ di spazio vuoto;
  • utilizzate titoli brevi;
  • spezzate il testo e dividetelo in sottosezioni. Dovete scrivere poco e dire molto sostanzialmente;
  • posizionate le informazioni più importanti nella parte superiore. Dite subito quello che dovete dire, non c’è “suspance”.


4. Utilizzate con moderazione i plugin

WordPress è conosciuto per il grande quantitativo di plugin che mette a disposizione, per questo è facile trovare molti siti che sembrano delle collezioni da quanti ne hanno inseriti. Tuttavia è sconsigliabile installare o mantenere attivi plugin che non sono necessari, a risentirne sarebbero poi le prestazioni del sito che rallenterebbe notevolmente.

Quindi utilizzate pochi plugin e assicuratevi che siano sempre aggiornati con le versioni più recenti.


5. Ottimizzate le immagini

Le immagini sono una componente importante del tuo sito web, ma possono rallentare significativamente il tempo di caricamento del sito, rendendolo meno mobile.

Potete contrastare questo problema utilizzando plugin specifici che ottimizzano il caricamento delle immagini, come WP Smush.itEWWW Image Optimizer.


6. Fate un Test

Una volta istallato il nuovo tema e aver fatto tutte le modifiche che vi abbiamo consigliato, valutate il risultato utilizzando un tool per visualizzare il vostro sito in versione mobile.

Ce ne sono a disposizione molti e gratuiti, qui potete trovarne 15 fra cui scegliere.

Riadattare il proprio sito rispettando tutti i 6 punti è un lavoraccio, non bisogna negarlo.
Per questo, per aiutarti a non cambiare idea ti ricordiamo i 6 benefici di un sito responsive:

  1. Migliora l’esperienza degli utenti
  2. Migliora il posizionamento sui motori di ricerca
  3. Riduce i tempi di caricamento
  4. Porta a sessioni più lunghe (il tempo in cui un utente rimane sul sito aumenta)
  5. Più conversioni e vendite
  6. E’ un vantaggio rispetto agli altri competitor

 


Perché festeggiare il Sys Admin Day

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La tua rete è sicura, il tuo computer sta funzionando correttamente, la tua stampante non si inceppa? Tutto questo grazie al tuo fantastico sysadmin (o ad un interno reparto IT) che mantiene il sistema funzionate. Quindi dillo ad alta voce, dillo fieramente….. Happy Sys Admin Day!

Così recita la prima parte del portale dedicato interamente agli amministratori di sistema, conosciuti come Sysadmin.

Cosa è esattamente il Sys Admin Day?
E’ una giornata interamente dedicata ai sistemisti, che cade il 28 luglio di ogni anno e che è stato creato per dare credito ad una figura che nei restanti 364 giorni dell’anno viene “maltrattata” (almeno così asserisce sysadmin.com e i meme che si possono trovare sul web “What I actually do”).

In realtà è una trovata divertente che ci ricorda l‘importanza di avere sistemi sicuri resi tali da personale competente e preparato che spesso e volentieri passa ore o weekend a far sì che le cose funzionino o a prevenire “disastri”.

“Let’s be honest, sometimes we don’t know our System Administrators as well as they know us. Remember this is one day to recognize your System Administrator for their workplace contributions and to promote professional excellence. Thank them for all the things they do for you and your business.”

Se vi state chiedendo cosa esattamente faccia un sistemista, vi elenchiamo solo alcune delle attività, come:

  • aggiornare il software antivirus della vostra azienda;
  • suggerire il riavvio del dispositivo in caso di malfunzionamento;
  • sostituire il toner della stampante;
  • disimballare un server dal suo box, installarvi il sistema operativo, applicare le patch di sicurezza, monitorarne la stabilità, installare il software e ripristinare il backup in caso vi siano stati problemi;
  • installare il router, tirare i cavi, configurare le reti, effettuare il setup dei firewall. Garantire una connessione di rete sicura, protetta e funzionante;
  • attua tutte le misure necessarie per proteggervi da spam, virus, spyware, nonché interruzioni di corrente;
  • nel caso un server di posta vada giù alle 2:00 di notte, è l’unico che si sveglia, si veste e va a lavorare per tirarlo su.

E’ un professionista che pianifica, preoccupa, sfida, corregge, spinge, promuove, protegge e crea buone reti informatiche.

Cosa potete fare dunque per il vostro sistemista?
C’è chi suggerisce di far qualche regalo, o procurargli semplicemente del gelato, pizza, palloncini, magliette autocelebrative… regali…
O più semplicemente mostrare loro che apprezziamo il lavoro che svolgono ogni giorno.

Noi di Shellrent ringraziamo il nostro staff tecnico che ogni giorno lavora con impegno per garantire la stabilità della nostra struttura e assistenza ai nostri clienti e siamo fortemente orientati a migliorarci sempre di più.

Come contribuire ad un Open Source

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Contribuire al mondo open source è il modo più gratificante per imparare, insegnare e accrescere le proprie competenze, insomma per arricchire se stessi.

Se solo pensiamo al mondo dell’hosting, dei siti web, i due CMS più usati al mondo WordPress e Joomla, sono open source.

Quindi perché contribuire a questo modello e soprattutto da dove cominciare?
GitHub ha voluto creare una semplice guida, per neofiti e veterani, che spiega come dedicarsi all’open source, partendo dalle esperienze comuni.

Cosa significa contribuire ad un progetto open source?
Le domande più frequenti che ci si fa prima di iniziare sono:
Come troverò il progetto giusto?
Come creo nuovo codice?
Cosa succede se qualcosa va storto?

Un’idea diffusa è che per partecipare bisogna per forza scrivere codice, in realtà non è proprio così! Ci sono tantissimi altri aspetti, a volte trascurati, che richiedono attenzione e sono necessari per la buona riuscita di un progetto.

Si possono organizzare eventi, ristrutturare layout o occuparsi dell’usabilità del prodotto, scrivere la documentazione e le relative guide e tutorial.

Se invece te la cavi bene con il codice nulla toglie che ci si possa dedicare solo a quello, scrivendo nuove feature e testandole.

 

Come è strutturato un progetto Open Source?

Ogni comunità open source è differente.
Basta collaborare ad un paio di progetti diversi nel corso di un anno per accorgersi che il vocabolario, le regole, lo stile di comunicazione sono completamente diverse.

Capire le dinamiche presenti all’interno di ogni gruppo ti aiuterà a orientarti velocemente all’interno del progetto.

Solitamente all’interno di una comunità troverai sempre definiti questi ruoli:

  • L’autore: la persona/organizzazione che ha ideato il progetto
  • Owner: può essere definito come l’amministratore dell’organizzazione o repository, che non sempre coincide con l’autore
  • Mainteiners: i volontari che gestiscono gli aspetti organizzativi del progetto (possono essere l’autore e l’owner dello stesso)
  • i partecipanti: o “contributors”, chi contribuisce attivamente alla riuscita del progetto
  • i membri della comunità: le persone che utilizzano l’open source frutto del progetto, che partecipano ai forum di discussione, testano e danno il loro parere in merito.

Non è insolito che i progetti più corposi abbiano veri e propri gruppi di lavoro che si focalizzano su task precise, come tools, triage, moderazione della community od organizzazione di eventi specifici.

Sono tutte informazioni che si possono reperire all’interno del sito web dedicato ad un open source, assieme alla sua documentazione:

  • La licenza: ogni progetto open source richiede una sua licenza
  • Il Readme: il manuale di istruzione che accoglie i nuovi membri spiegando loro perché il progetto è utile e come iniziare;
  • contributi richiesti: i “contributes” che spiegano quali tipi di contributi sono necessari e come funzionano i vari processi;
  • Il codice di condotta: definisce le regole fondamentali per il corretto comportamento dei partecipanti e aiuta alla creazione di un ambiente accogliente.

Oltre a queste prime e importanti informazioni troverai anche gli strumenti utilizzati dall’open source per organizzare le discussioni. Questi danno sempre un’idea precisa di come la comunità pensa e lavora.

Dopo questa (non breve) introduzione, saresti pronto ad imbarcarti in un progetto OpenSource?

Come creare un’email personalizzata

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Nel web la linea di demarcazione tra il professionale e il non professionale è in parte segnata dall’indirizzo email, che gioca un ruolo molto importante.
Prova solo a pensare alla prima impressione. Quale indirizzo fra i due ti sembra più credibile, suzy88@libero.it o susanna.rossi@rossisrl.it?

Il secondo indirizzo ha un tono decisamente più professionale.

Per quanto possa suonare strano, se vuoi essere considerato seriamente è necessario avere un’email personalizzata e professionale.

Se sei ancora scettico, ci sono almeno 3 motivi che possono farti ricredere.

  1. Aiuta il tuo business.
    Questo è il motivo più grande. Se vuoi farti strada e trovare nuovi clienti, le cose più importanti che puoi fare sono creare un sito web fatto bene (la soluzione più economica non è sempre la più vantaggiosa) e degli indirizzi email che riportino ad esso. Questo dimostra alle persone che non sei un dilettante, ma che prendi molto seriamente il tuo lavoro e ispiri fiducia.
  2. Fa capire da dove provengono le tue email.
    Se la tua email non è identificativa, diminuisci drasticamente le possibilità che venga letta.
    La maggior parte delle persone tende ad aprire e leggere un’email solo se questa proviene da un indirizzo che può essere riconosciuto o se si può risalire facilmente a chi l’ha mandata.
  3. Gli utenti vengono a conoscenza del tuo sito.
    Come detto nel punto precedente, la persona che riceve la tua email, vedendo il nome del sito incorporato nel tuo indirizzo, può trovarlo più velocemente e quindi reperire tutte le informazioni che gli servono visitandolo direttamente.

Se ti abbiamo convito, il prossimo passo è capire come creare un’email personalizzata.

STEP 1

Bisogna anzitutto registrare un nome a dominio. Scegli quello che ritieni più adatto per la tua attività, online troverai diverse guide che ti possono essere di aiuto nella scelta.

Quando registrerai il tuo dominio, associaci un piano Web hosting su cui far sviluppare un piccolo sito o inserire una semplice pagina di presentazione in html.
Anche se per ora non ti interessa mettere online un sito, ti consigliamo comunque di inserire una pagina statica all’interno del tuo spazio di hosting, perché per l’utente è frustrante digitare il nome del tuo dominio e non trovare nulla, neanche una semplice scritta Work in progress, presto saremo online!

STEP 2

Decidi una convenzione, una regola su cui basarti quando dovrai creare un nuovo indirizzo email (di un collaboratore appena assunto ad esempio).

I formati sono diversi, ad esempio:

nome@nomedeltuosito.com
nome.cognome@nomedeltuosito.com
inizialedelnome.cognome@nomedeltuosito.com

Qualsiasi cosa tu scelga, sarà facile per i tuoi clienti ricordare chi sei e contattarti.

STEP 3

Crea la casella di posta. Se hai acquistato il dominio e il piano Web hosting, ti basterà accedere alle sue funzioni e aggiungere l’indirizzo di posta che hai scelto inserendo anche la password.

Per formulare una password sicura, ti consigliamo di utilizzare questo tool.

Se hai deciso di appoggiarti a Shellrent per l’acquisto di entrambi i servizi, consulta la guida che ti spiega come creare una casella di posta.

STEP 4

Configura la casella di posta appena creata sul tuo client (Thunderbird, Outlook, etc).
Se non sai come fare, segui questa guida.
Se poi vuoi configurare l’email sul tuo Android perché spesso sei fuori ufficio, anche questa guida ti sarà utile.

Ora che hai il tuo nuovo indirizzo di posta e puoi iniziare a proporti seriamente e professionalmente, tieni a mente le 4 regole auree su come utilizzare al meglio la tua email.

  1. Inserisci la firma in calce all’email. Che sia chiara e gradevole.
  2. Non trasmettere aggressività quando scrivi. Ricordati che gli scambi email tolgono alla comunicazione il tono di voce e la gestualità, quindi è facile essere fraintesi. Utilizza sempre un tono pacato e cerca di non far trasparire troppo le emozioni.
  3. Rileggi sempre quello che scrivi, per assicurarti che abbia un senso e che possa essere compreso correttamente.
    Non scrivere di getto, non leggere e inviare subito.
    Un’email una volta spedita non la si può più cancellare.
  4. Non essere uno “spammer”, anzi assicurati che la tua email non finisca in spam esaminando lo score.
    Se vuoi scoprire di più leggi qui.

 

Microsoft Paint va in pensione

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Proprio così, la Microsoft manda in pensione Paint dopo 32 anni di onorato servizio.

Ci è sembrato doveroso dedicarci un piccolo articolo, più che altro per ricordare l’editor, uscito a novembre del 1985, con cui la maggior parte di noi è cresciuto.

Per alcuni probabilmente è stato il primo approccio al PC! Chi non si è mai seduto di fronte al computer del papà per cercare di realizzare un disegno abbastanza discreto cercando ostinatamente di colorare dentro i bordi!

E chi ancora oggi non si affida a Paint per qualche lavoretto di “sistemazione” (siamo onesti).

Al di là dei ricordi nostalgici, la Microsoft ha deciso di sostituire il vetusto ma sempre fedele editor di immagini in occasione del prossimo update di Windows 10 che avverrà questo autunno.

Con Paint se ne andranno anche Outlook Express, Reader app e Reading list, classificati tra i “deprecated” del prossimo aggiornamento.

Qui potete trovare la lista delle features che verranno rimosse con il prossimo update.

Le reazioni del web hanno fatto desistere Megan Saunders, general manager of 3D di Microsoft, dall’eliminarlo del tutto. Ha infatti dichiarato: “Microsoft Paint rimarrà qui, ma avrà una nuova casa: sarà infatti disponibile per il download free su Windows Store”.

Non ci rimane altro che attendere la nuova proposta della Microsoft e utilizzare i prossimi mesi per salutare come si deve il nostro editor: #PaintForever

 

 

HTTP2 – Introduzione al protocollo

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HTTP/2 è il nuovo protocollo di rete pubblicato nel 2015 che succede ad HTTP, nato nel 1996 e utilizzato per la trasmissione di file sulla rete.
Questo protocollo permette ai contenuti che risiedono su un server di essere visualizzati su un computer remoto (sito web, applicativi ecc).

 

La sua seconda versione (HTTP/2) promette importanti migliorie dal punto di vista delle performance ed è per questo che molti sviluppatori stanno già iniziando ad utilizzare questo protocollo nei loro progetti.

Di cosa parliamo esattamente quando menzioniamo HTTP/2?
HTTP/2 non è altro che un protocollo di rete che si trova al livello 7 (Application Layer) della scala ISO/OSI, quindi è un “modo” per poter trasferire dati attraverso la rete e le applicazioni come lo sono FTP, SSH o Telnet.
Un normale utente della rete raramente si imbatterà in queste scelta o noterà differenze tra un sito web che utilizza un protocollo piuttosto che un altro.

Per quanto riguarda la parte tecnica, che cosa cambia rispetto agli altri protocolli?

 

  • Per caricare un sito web, HTTP/2 usa una singola connessione che rimane aperta quanto necessario per il totale caricamento delle pagine (contenuti, script, immagini ecc), riducendo così il numero di connessioni e aumentando la velocità.
  • HTTP/2 effettua più richieste contemporaneamente ed è in grado di richiedere i contenuti in una singola sessione più volte, senza dover attendere la conclusione di ogni singola richiesta (come avveniva su HTTP).
  • HTTP/2 utilizza la tecnologia “push” quindi è in grado di inviare autonomamente al client aggiornamenti sui contenuti senza che sia il client a doverli richiedere.
  • HTTP/2 è binario! In realtà dal punto di vista pratico cambia poco, ma per un Server/PC è molto più semplice e veloce interpretarlo.

Attualmente HTTP/2 non è ancora stato accolto completamente tra gli standard del web, infatti tutti i software più utilizzati per servire contenuti web adottano ancora la versione precedente come standard sebbene sia APACHE che NGNIX (Linux) che IIS (Windows) lo supportino già correttamente.

Dati alla mano HTTP2 è supportato dal 76% dei browser che non è ancora una percentuale così significativa per poter essere adottato di default nei progetti web, anche se le ultime versioni di Chrome, Safari e Firefox lo supportano senza problemi.

Che beneficio può trarre l’utente dall’utilizzo di HTTP/2?
A primo impatto l’utente standard (quello a cui tutti pensano quando si trovano a fare una scelta di questo tipo) non noterà nulla di diverso, ma quando si accorgerà che il tempo di caricamento delle pagine web sarà del 70% più veloce ne sarà sicuramente entusiasta!

Come per molti argomenti che la community tratta, anche HTTP/2 è oggetto di miti e leggende che difficilmente vengono confutati con dati analitici.

Ad esempio gira voce che HTTP/2 permetta una migliore indicizzazione su Google e che automaticamente un sito web servito con questo protocollo guadagni posizioni senza doverci lavorare più di tanto.

Se assumiamo che un motore di ricerca privilegi un sito che restituisce informazioni più velocemente da uno che risponde più lentamente, è corretto dire che con HTTP/2 il sito web sarà fornito più velocemente.
Ma da questo ad asserire che il miglior posizionamento di un sito web dipenda esclusivamente dall’utilizzo di questo protocollo, non è verosimile.

La stessa cosa vale per l’HTTPS. Se un motore di ricerca “gradisce” in particolar modo un sito web protetto da un certificato SSL e lo privilegia rispetto ad uno senza SSL, sicuramente con HTTP/2 il beneficio sarà maggiore.

Non c’è però alcuna correlazione tra il protocollo HTTP e HTTP/2 e l’utilizzo o non utilizzo di SSL (Certificato SSL). Infatti entrambi i protocolli supportano connessioni cifrate o in chiaro senza alcun problema.

Che cosa devo scegliere quindi per il mio progetto?
Sicuramente in futuro HTTP/2 sarà lo standard preferito e utilizzato ovunque, di conseguenza se si hanno le competenze per poterlo gestire fin da subito è sicuramente la scelta più consigliata.
Se si punta invece alla totale compatibilità con i browser e con gli utenti forse per qualche anno è opportuno scegliere HTTP.

Se dopo aver letto questo articolo ti rimane ancora la curiosità e hai voglia di provare un web server con HTTP/2 mettiti in contatto con noi.

I domini possono subire attacchi hacker?

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In che modo un dominio di primo livello (TLD) può essere compromesso?
Così come i siti web possono essere attaccati sfruttando le loro vulnerabilità, così anche un’estensione può esser compromessa toccando uno dei suoi punti vitali: i suoi nameserver.

E’ successo al TLD .io.

Quando un’estensione viene “creata”, si registrano i suoi nameserver, che la maggior parte delle volte sono terzi livelli.

Ad esempio alcuni dei nameserver del .com sono

;; AUTHORITY SECTION:
com.   172800 IN NS a.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS b.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS c.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS d.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS e.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS f.gtld-servers.net.
com.   172800 IN NS g.gtld-servers.net.

Dato che un TLD può avere diversi “authoritative nameservers” è possibile che a causa di una configurazione errata, una scadenza o un altro tipo di problema, qualcuno possa registrare un nome a dominio che corrisponde a uno dei nameserver e utilizzarlo.

Per il .io è andata esattamente così.
Alcuni dei suoi nameserver , tra cui ns-a1.io, non erano stati registrati e ci ha pensato un utente privato qualsiasi ad acquistarli e utilizzarli.

Il “fattaccio” è stato scoperto da Matthew Bryant, quando un venerdì notte vide che un suo script dava dei risultati sospetti in merito all’estensione .io
Una delle funzionalità di questo script, nominato TrustTrees, è verificare se qualcuno dei nameserver previsti per un’estensione risultino registrabili o meno.
A volte lo sono, infatti lo status che fu restituito era available, il che non significava necessariamente che il dominio potesse effettivamente essere registrato.

Esistono infatti nomi a dominio disponibili ma riservati, ovvero che nessun utente potrà mai registrare.

Matthew decise di contattare direttamente l’authority in questione (NIC.IO) per farsi dare conferma che nonostante la disponibilità del dominio ns-a1.io, questo effettivamente non fosse registrabile.

Con grande stupore scoprì il contrario, tanto che attorno alla mezzanotte, tentò l’acquisto per vedere se effettivamente sarebbe riuscito a portarlo a termine. Fu così:

Matthew iniziò a ricevere il traffico DNS per l’estensione .io e certamente non voleva bloccare tutti gli utenti che avevano registrato un dominio .io e il server iniziò a non rispondere più a tutte le query DNS (visto il traffico decisamente elevato).
Il secondo problema che Bryant si pose era: quanti altri nameserver potevano essere registrati arbitrariamente causando un notevole danno? In fin dei conti bastava aver del denaro a disposizione e la conoscenza per farlo.

Dopo aver cercato i contatti per il .io nel database di IANA (admin@icb.co.uk) Matthew decise di scrivere un’email riportando il problema riscontrato e dimostrando l’urgenza di risolvere il bug.
Purtroppo dopo aver premuto “Invia” il messaggio che tornò indietro fu di errore, l’indirizzo inserito non esisteva.

 

Non il massimo della serietà a quanto pare. Però questo spinse Matthew ad acquistare i nameserver rimasti disponibili alla registrazione, per prevenire qualsiasi attacco hacker sulla TLD.
Come nel primo caso, impostò i suoi DNS perché non rispondessero alle query in entrata in modo da non interferire con il traffico dei .io.
L’ordine di registrazione fu evaso velocemente.

Il giorno dopo Matthew chiamò il supporto del NIC.IO richiedendo il corretto indirizzo email della persona che si occupava della sicurezza e gli inoltrò la stessa email inviata durante la nottata con il report.

Questa volta una reazione ci fu.

Il giorno dopo il ticket di Matthew fu segnato come risolto e i domini da lui acquistati, revocati dal 101Domain legal department.

Dopo questa affascinante avventura, quali sono state le implicazioni della “distrazione” che poteva permettere un attacco hacker massivo a tutti i domini .io utilizzando una semplice carta di credito?

Se l’acquirente non fosse stato Matthew ma una persona non dotata di buone intenzioni, avrebbe registrato 4 dei dei nameserver autoritativi per l’estensione .io e avrebbe potuto reindirizzare tutti DNS di tutti i domini registrati con quella TLD.
Anche se ci fosse stato un intervento repentino, come quello avvenuto dopo la segnalazione, sarebbe comunque stato necessario un po’ di tempo prima che i record memorizzati in cache si aggiornassero correttamente.

Quindi i domini possono subire attacchi hacker e questo episodio ne è stata la prova. Non possiamo che confidare sull’efficacia del team preposto alla sicurezza per ogni TLD e di trovare in giro più Matthew e meno hacker!

Windows Subsystem for Linux esce dal betatest

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Esce la versione definitiva di Linux per Windows 10 che questo autunno sarà disponibile con il pacchetto Fall Creators Update.

Un progetto che ha fatto molto discutere il WSL, pensato soprattutto per gli sviluppatori che preferiscono sfruttare un ambiente Linux durante lo sviluppo di applicazioni, accedendo da linea di comando. Per ora infatti non è ancora prevista un’interfaccia grafica che renda il prodotto utilizzabile dal normale consumatore, anche se questa sarà la direzione.

Per il momento soltanto gli iscritti al programma Windows Insider potranno accedere alle nuove feature con lo scopo di inviare eventuali feedback alla casa madre.

La fase di rilascio avrà dei tempi abbastanza lunghi, si approfitterà dei Windows Update in modo da non creare sovraccarico dei server, quindi presumibilmente terminerà verso fine anno.

Con l’uscita dalla fase Beta WLS determina la fine della netta separazione tra i due sistemi Linux e Windows, che sembravano destinati a tenersi testa per sempre. Ora siamo di fronte ad un nuovo inizio che vede la casa californiana abbracciare in modo convinto il Pinguino Open Source.

 


Registrazione domini, le estensioni più acquistate nel 2017

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Quali sono i domini più registrati nel 2017? Verisign ha da poco pubblicato il report periodico The Domain Name Industry Brief che riporta l’andamento complessivo del primo trimestre (Q1) 2017, in fatto di registrazioni.

E’ un report molto importante in quanto delinea le tendenze di mercato e permette di capire quali sono le estensioni per cui c’è più domanda e che stanno riscuotendo maggior successo.

Il primo trimestre si chiude con 330.6 milioni di domini registrati un aumento del circa 0,4% rispetto all’ultimo trimestre (Q4) del 2016. Ogni anno la crescita stimata è del 3,7%.

Anche le ccTLD (country- code) sono in crescita del 0,3% (143,1 milioni), su base annuale di crescita dell’1,7%.

La TOP 10 delle TLD più comuni vede sempre in vetta il .com che riporta 128 milioni di domini registrati, nonostante questo la somma dei .net e dei .com registrati dall’inizio del 2017 al 31 marzo (9,5 milioni) è inferiore rispetto a quella registrata nello stesso periodo del 2016 (10 milioni).

Per quanto riguarda la TOP 10 delle ccTLD, rimane invariata rispetto a quella del 2016.

Come detto sopra, anche in questo caso si riscontra una crescita rispetto all’anno precedente.

 

Le nuove estensioni invece, ormai sul mercato da 3 anni, rappresentano il 7,7% del totale dei nomi a dominio registrati, meno dello scorso anno. Il totale infatti è passato da 25.6 milioni (Q4 2016) a 25.4 milioni.

 

Per le  new gTLD a tema geografico (es: .london, .berlin, etc) la situazione rimane invece invariata rispetto alla fine del 2016.
Come si vede dall’immagine sotto, entrambi i gruppi di estensioni geografiche, le ccTLD e le ngTLD incrementano, anche se non di molto, la quota di registrazioni (da 62.8 milioni a 63 milioni per i ccTLD; da 559,696 a 564,524 per le nuove).

 

Certificato SSL: se ne sei sprovvisto google ti considera “Non sicuro”

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Ad Ottobre, come avevamo anticipato, Google aggiornerà il suo browser Google Chrome e considererà i siti web sprovvisti un certificato SSL come “Non sicuri”.

Google da sempre si contraddistingue come un’azienda che ha veramente a cuore la sicurezza dei dati e soprattutto dei propri utenti quindi da Gennaio 2017 ha iniziato a premiare tutti coloro che utilizzavano un certificato SSL nel proprio sito web.

Un certificato SSL non è altro che uno strumento che viene utilizzato per poter “cifrare” i dati che vengono inviati tra un computer nella rete e un sito web che ad esempio richiede informazioni personali (nome, cognome, indirizzo, numeri di carte di credito, codici iban, ecc).

In questo modo chiunque si trovi nel mezzo della comunicazione non riuscirà ad intercettare questi dati e di conseguenza non li potrà utilizzare per altri fini.

Per il mese di Ottobre potrai acquistare un nuovo certificato SSL Basic per il tuo sito web o per la tua applicazione con il 50% di sconto utilizzando questo promocode: CERTSSLBSHL50

L’installazione di un certificato SSL è completamente gratuita su tutti i profili Web Hosting Linux e Web  Hosting Windows.